martedì 5 luglio 2011

Death



Non uccidere! Così recita il quinto comandamento, inciso col fuoco divino dallo stesso Creatore sulle tavole della legge consegnate a Mosè e all’ umanità intera.
Fin dalla notte dei tempi, infatti, l’ uomo ha sempre sentito il bisogno di riparare ad un’ ingiustizia ricevuta con una pena pari al torto subito.
Tale esigenza, in principio soddisfatta in modo soggettivo ed arbitrario, con l’ istituzione della società e delle autorità politiche, si lega alle regole che gli uomini si danno.
La legge del taglione è il più antico principio giuridico mai codificato e consiste nella possibilità riconosciuta a una persona che abbia ricevuto un' offesa di infliggere all'offensore una pena uguale all'offesa ricevuta. La locuzione occhio per occhio, dente per dente, quindi,  implica che la pena per l’ omicidio è la morte.
In estrema sintesi, si può quindi affermare che, sin dall’antichità, la pena capitale sia stata perlopiù considerata un mezzo idoneo a tutelare l’ordine: l’ uomo ha sempre considerato necessario punire la morte con la morte.
La stessa Chiesa Cattolica, nel corso dei secoli, ne ha fatto ampio uso assumendo la figura del giudice sposando pratiche a dir poco abominevoli quali le torture e le esecuzioni nel periodo della Santa Inquisizione.
Il XX secolo si è aratterizzato per un riscorso massiccio e feroce alla pena di morte, sia per l’affermarsi in Europa dei regimi totalitari sia per lo scoppio dei due conflitti mondiali. Ma è proprio nel secolo finale del 2° millennio che le spinte abolizioniste, sull’ onda lunga del movimento illuminista del secolo precedente, guidato da Cesare Beccarla (celebre è il suo trattato Dei Delitti e delle Pene), hanno fatto un grande passo avanti verso una moratoria internazionale sulle esecuzioni in tutti i paesi che ancora applicano la pena di morte, sostenuta dai principali organi internazionali come la Commissione sui diritti umani dell'Onu. Nel 2007, nel 2008 e nel 2010, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione che chiede una moratoria sulle esecuzioni: tali risoluzioni, sebbene non vincolanti, portano con sé un considerevole peso politico e morale e costituiscono uno strumento efficace nel persuadere i paesi ad abbandonare l'uso della pena di morte.
Notevole peso  ha sull’ opinione pubblica, l’ inumanità delle condizioni  cui vanno incontro i detenuti condannati alla pena di morte e in attesa di esecuzione: nella speciale sezione dei penitenziari, chiamata Death Row, braccio della morte, i reclusi molto spesso sono condannati ad una  “pena nella pena”. Per interi decenni, infatti, in attesa dell’ esecuzione, sono tenuti in uno stato di non-esistenza. Morti che camminano in attesa di lasciare questo mondo crudele che li ha resi crudeli, sopportando un’ attesa crudele, dove ogni giorno è, forse, l’ ultimo giorno. Il braccio della morte è senza dubbio un mondo a parte, una battaglia mentale: le ore trascorse con gli occhi fissi nel vuoto, l'agitazione e l'umiliazione dei giorni che diventano lastre di ghiaccio, immutabili.
Ma se la deterrenza è l'argomentazione più usata dai sostenitori della pena di morte, essa deve essere necessariamente accompagnata dal supplizio dell’ attesa? E la condanna capitale di un trasgressore dissuaderebbe realmente altre persone dal commettere lo stesso reato? Nei Paesi che mantengono la pena di morte ci si dovrebbe aspettare una diminuzione dei reati che hanno come condanna tale pena. Invece questo non accade.
La Bibbia recita: “il Signore pose su Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l'avesse incontrato”. Dovremmo riflettere meglio, come umanità, su cosa è giusto fare per il miglioramento della nostra civiltà,  chiederci se davvero abbiamo il diritto di sentirci senza peccato e scagliare la prima pietra contro un nostro fratello.



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