venerdì 29 luglio 2011

Arte ed Ambiente

L’ arte è la forma sublime in cui l’ uomo esprime il suo mondo interiore, la visione del mondo esterno filtrata attraverso la sua particolarissima sensibilità ed esperienza.

L’ ambiente è quella parte dell’ Universo con cui direttamente ognuno di noi è in relazione.

La sintesi di arte ed ambiente imprime nell’ opera finita la contemplazione delle forze di energia che dominano l’ Universo e diventa comunicazione di verità, mediazione e riconciliazione tra natura ed uomo.
Quest’ unione realizza i valori caratteristici di un intera cultura, costruisce la storia di un popolo, perciò possiamo ben affermare:

“Senza passato non c’è presente…senza presente non c’è futuro”.

Tale sintesi trascende i limiti del tempo e dello spazio, squarciando il velo dell’ impotenza umana, s’ impregna di valori universali ed imperituri: in essa, segno dopo segno, passo dopo passo, si registra il cammino dell’ uomo nella storia.

martedì 26 luglio 2011

Occhi al cielo

La sfera celeste: l’ ispiratrice più affascinate per l’ uomo.

Civiltà tanto diverse tra loro quanto lontane hanno trovato “risposte” nell’ osservazione delle stelle: dall’ antica Cina agli imperi precolombiani del Centro America, dagli aborigeni dell’ Oceano Pacifico ai nativi americani, dagli Egiziani ai Babilonesi, fino al Nepal, dove una casta di sacerdoti-astronomi si affianca al potere governativo ufficiale.
L’ osservazione della volta celeste possiamo interpretarla come qualcosa di istintivo: i bambini, di qualsiasi luogo e di qualsiasi epoca, imparano a camminare, a parlare e a creare relazioni con il mondo esterno, più o meno tutti allo stesso modo e alla stessa età; così le civiltà, chi prima, chi poi, hanno sentito tutte questa incontenibile attrazione verso il cielo.

Il vero problema sorge quando vogliamo analizzare questa  “crescita” non più semplicemente caso per caso ma in modo globale, osservare come tutte le civiltà, nessuna esclusa, dopo aver guardato e studiato il cielo, abbia avvertito l’  impulso di  basare la propria conoscenza, la propria cultura e spesso addirittura le proprie scelte politiche sull’ osservazione delle stelle, spesso erigendo monumenti che ricalcano in modo perfetto la mappa della volta celeste.

Com’ è possibile, ad esempio, che le piramidi egizie della Valle di Giza venissero costruite  perfettamente allineate con la Cintura d’ Orione senza avere strumenti di alta tecnologia?

La risposta ad una simile domanda è, ormai, seppellita sotto millenni di storia e dietro questo quesito tanti altri si affacciano alla nostra mente.
Perché tutte le civiltà antiche, nonostante non avessero possibilità di contatto tra loro, sembrano avere tutte la medesima “matrice”?

Perché la piramide sembra sia la costruzione più distintiva dell’ umanità? Cosa nascondono le costruzioni piramidali, che siano quelle dei faraoni o le ziqqurat babilonesi o quelle azteche di Tenochtitlan?

Perché gli antichi popoli, dalla Cina all’ Egitto fino al  Sud-Est asiatico, conservano tutti il mito di una civiltà super avanzata ( Mu, Atlantide, Lemuria, Shangri-La…)scomparsa dopo un cataclisma di immani  proporzioni?

Forse a tutte queste domande e ad altre, che ancora non sappiamo  o non vogliamo porci, gli antichi volevano dare voce, per lasciare un messaggio che noi, ancora oggi, non sappiamo decifrare, un messaggio carico di energie che noi non possiamo comprendere, troppo presi dalla modernità, troppo distratti…per alzare, di tanto in tanto, gli occhi al cielo stellato.

                                                                  Gianluca Magliulo

venerdì 8 luglio 2011

Un uomo che legge è libero da condizionamenti e non c'è slogan di partito che tenga di fronte alla sua capacità di analizzare la realtà,non ce forza di pubblicità che condizioni il suo modo di essere e di vivere.

mercoledì 6 luglio 2011

Analisi critica del giornalismo italiano



Nel breve arco di tempo di un ventennio i mezzi di informazione,  e quindi la possibilità di comunicare, seguendo il progresso scientifico e tecnologico, si sono evoluti in mezzi con cui l’ utente interagisce e hanno cambiato le abitudini quotidiane di un numero sempre maggiore di persone.
Questo progresso così repentino ha prodotto un necessario  “svecchiamento” dei contenuti e del linguaggio  nei mass media, ma allo stesso tempo ha avviato un processo di degenerazione che fino ad ora si è dimostrato inarrestabile: i media italiani tendono all’ esagerazione, alla retorica e l’ informazione perde la sua funzione originale di pura descrizione della realtà.
La televisione ( e quindi la carta stampata, che ne viene fortemente influenzata) è l’ esempio lampante di come il concetto di “informare” sia radicalmente cambiato : i notiziari si fondono ai programmi di varietà o viceversa e la continua spettacolarizzazione delle notizie pone lo spettatore di fronte a continue “puntate” della stessa storia in quanto la priorità non è più quella di informare bensì quella di intrattenere il pubblico. In un simile contesto diventa sempre più indispensabile la figura dell’ opinionista, un professionista dell’ intrattenimento che, molto spesso, non ha nessun   titolo o qualifica per esporre un’ analisi razionale in merito all’ argomento affrontato, che non offre mai dati certi ma esprime solo la propria opinione, influenzando quella del pubblico, creando un’ identificazione fittizia con lo spettatore e  proponendosi come  "voce della comunità" .
Atteggiamento  ancor più grave da parte dei media è, secondo me, l’ enfatizzazione estrema dello stato emotivo predominante; basti pensare a come i fatti di cronaca nera vengono affrontati: non è  la ricerca della verità che interessa ma cogliere gli stati d’ animo, recuperare le confessioni  intime, ricercare i particolari  scabrosi.
Questa “drammatizzazione della notizia” fa crollare definitivamente quel muro immaginario posto tra l’ informatore e l’ informato ,che si sente tirato dentro, coinvolto e quindi pronto a seguire tutte le “puntate” della notizia canale, per canale.
Il conduttore/giornalista non prende le distanze dal “fatto” che riporta, quindi lo spettatore (o il lettore di giornale), non si trova di fronte alla notizia “nuda e cruda” da verificare, approfondire e poi elaborare secondo la propria sensibilità, esperienza, cultura. Egli è, piuttosto, una mente passiva che assorbe la notizia già filtrata ed elaborata da altri.
La mia conclusione è che l’ informazione italiana è  di qualunquista, povera di contenuti veri e alla deriva. Per i media del nostro Paese il mondo è come dovrebbe essere, un mondo perfetto dove un narratore qualunquista presuppone uno spettatore qualunquista : l'atteggiamento prescritto è quello di non avere nessun atteggiamento e nessun giudizio. Un’ idea ormai così pervasiva da non essere più nemmeno percepita come anomala dalla maggioranza degli italiani, per i quali il telegiornale è l'unica fonte di "informazione" . Sicuramente,  per trovare una soluzione, occorre riformare la scuola e la stessa tv , che produce appunto ciò a cui stiamo assistendo ai giorni nostri. Ed io credo che sia necessario intervenire al più presto possibile, prima che sia troppo tardi, prima che la “deriva”  ci disperda in alto mare per sempre. 

Il verismo


Il verismo è un movimento letterario nato in Italia intorno alla metà dell’ 800; esso è influenzato dal naturalismo francese ed è legato indissolubilmente alla diffusione del positivismo in Italia, per cui intende rappresentare la realtà quale appare all’ obiettivo della macchina fotografica e non alla lente deformante dello scrittore.
Il verismo, a differenza del movimento francese, non ha nessuna pretesa di denuncia sociale e si allontana soprattutto dalle istanze di impegno politico avanzate in Francia dai naturalisti, Zola in particolare.
Tema centrale della  letteratura verista  è, la realtà, analizzata alla luce della legge “scientifica”, neutrale e senza sentimento: le vicende dell’ uomo non sono altro che il prologo di un’ inesorabile caduta verso l’ annientamento, la caduta di ogni vincitore nella categoria degli sconfitti.
“I Vinti” furono il titolo del ciclo dei romanzi del Verga, tra cui “ I Malavoglia” e “Mastro don Gesualdo”.
Lo stile letterario rispecchia questa visione della realtà: esso è scarno, essenziale ed abbandona ogni ricerca di eleganza, teso a descrivere impersonalmente la realtà, scegliendo tra i vari registri espressivi il più consono all’ ambiente sociale rappresentato.
Il metodo verista viene elaborato nel modo più coerente e con i più alti risultati da alcuni scrittori siciliani, particolarmente sensibili alla contraddizione tra la nuova realtà dello Stato unitario e la prepotente realtà siciliana. I più grandi tra questi, Luigi Capuana e Giovanni Verga, ci offrono le descrizioni più vive, più concrete, più attuali della società in cui vivono.

Il Cantico delle Creature


Il Cantico delle Creature di Francesco d’ Assisi è, tradizionalmente, il più noto componimento di carattere religioso della nostra letteratura.
E’ una preghiera di lode al Signore: il Santo lodando le Sue creature ne celebra grandezza e potenza come creatore dell’universo.
E’, inoltre, un ringraziamento all’infinita bontà dell’Onnipotente: tutte le creature, animate e no, sono legate tra loro e con l’uomo da un profondo e da armonioso vincolo di fratellanza. Quest’idea, fulcro del francescanesimo, rivoluziona il pensiero di un intera civiltà: pone, infatti, l’uomo al centro dell’intero creato, poiché lo stesso Dio ha fatto sì che la nature fosse al servizio della sua creazione migliore. La sofferenza e la morte stessa sono indicate come mezzi attraverso i quali l’essere umano può incamminarsi sulla via della beatitudine, un sentiero lastricato di colpe e di riscatto, di perdizione e salvezza eterna.
Tale concezione, che antepone la centralità dell’Uomo, scavalca i limiti del medioevo e anticipa l’essenza dell’umanesimo che verrà, il movimento che pur senza rinnegare il sentimento religioso, abbandona o tende ad abbandonare l’indagine metafisica, per spostare il proprio interesse sull’umana esperienza.
Il Cantico è scritto in volgare umbro del XIII secolo: è proprio l’uso della lingua popolare quotidiana, nonché l’evidente ispirazione ai Salmi biblici (con la ripetizione del “ Laudato Sii ” ) a denotare la volontà dell’autore di far giungere, indistintamente a tutti, e non solo ai colti, il suo invito a lodare ringraziare Dio.
Il Cantico, però, nonostante sia scritto in volgare, presenta parti linguisticamente molto complesse ed una raffinata elaborazione stilistica in cui si coglie tutta la ricchezza socio – culturale dell’autore. Proprio il passo più solenne del testo, quello per “ sora Morte “, strumento di purificazione che accomuna tutti gli uomini, rivela la solidità culturale di Francesco d’Assisi: egli trascende i limiti del suo tempo e lascia un’ impronta indelebile nella storia della civiltà sia per la sua complessa personalità, sia per l’importanza universale della sua opera, sia per la novità linguistico – espressiva adoperata.
Ha dato vita ad un componimento ricco di schietta poesia, ad un fondamentale documento di volgare letterario: si può affermare, quindi, che questo Cantico di amore e di ammonizione, di evocazione sensoriale delle creature e di esplorazione delle vie eterne dell’anima, segna, come una pietra miliare, la nascita della nostra letteratura in volgare.  

                                                                       

martedì 5 luglio 2011

Analisi della fiction e della telenovela



La televisione, sin dalle sue origini, seguendo le orme del cinema, da cui deriva, ha prodotto un macrogenere del programma televisivo contraddistinto da opere di narrazione e finzione scenica con finalità  l’ intrattenimento: la fiction.
Questa ha le sue radici nel teleromanzo che, spesso, consisteva nell’ adattamento per la televisione di un’ opera classica della letteratura (I promessi sposi, La freccia nera, L’ Amleto, I miserabili…) ma anche in opere originali, create appositamente per il teleschermo.
Negli anni ottanta lil teleromanzo, oramai in declino, fu sostituito dal formato della fiction, un prodotto in grado di racchiudere in sé tutti i format della narrazione televisiva.
In Italia il termine è spesso usato per indicare la seria televisiva di produzione nostrana che prevede episodi della durata di sessanta minuti circa e la presenza di una trama verticale (narrazione episodica) e di una trama orizzontale (narrazione seriale).
La nostra fiction è strutturata, di solito, in stagioni che vanno dai 15 ai 60 episodi, anche se non meno successo hanno avuto  formati composti da un numero molto più limitato di puntate, in cui vi è la completa assenza della trama verticale, ma vi è unità narrativa dalla prima all’ ultima puntata.
Il serial debole (quello appena descritto) è contrapposto al serial forte che, a seconda che abbia o no una chiusura narrativa, viene distinto in telenovela o soap opera. In ambedue i casi la durata del racconto è lunga, spesso lunghissima:la fine della puntata, dunque, non è anche la fine della narrazione.
Lo scopo principale è,ovviamente, quello di tenere desta l’ attenzione dei telespettatori con colpi di scena, capovolgimenti, imprevisti, indizi premonitori e soprattutto attraverso l’ uso dell’ effetto cliff-hanger, l’ interruzione sistematica nel punto culminante della puntata, quando l’ attenzione dei telespettatori diventa spasmodica.
Mentre la soap opera, però, può avere anche una durata decennale, la telenovela, che ha un budget, molto più limitato, ha un numero di puntate che di solito si aggira, in media, tra le 120 e le 200 puntate.
La telenovela, nata in Brasile, come adattamento per la televisione della narrativa seriale dell’ ‘800, è basata su amori contrastati, fughe, tradimenti, agguati, figli illegittimi, faide familiari e figure femminili di grande spessore.
La psicologia dei protagonisti si innesta in una visione dell’ Universo manichei sta, dove la distinzione tra buoni e cattivi è netta e l’ eroe (più spesso l’ eroina) è sempre redentore o martire, convivendo con la sofferenza e gli ostacoli che la vita gli pone davanti continuamente, in attesa di un lieto fine che obbligatoriamente vedrà la distribuzione di premi ai buoni, suoi alleati, e di condanne ai cattivi, suoi avversari.
Per i Paesi produttori (Brasile, Messico, Argentina e Venezuela su tutti) la telenovela è una grande risorsa di esportazione, diventando un fenomeno commerciale, mediatico e di costume di livello planetario.
Essa riveste un importante ruolo sociologico: il lieto fine ha un effetto consolatorio che compensa, in qualche modo, le disperazioni dei telespettatori nella vita reale, e trasmette loro positività nell’ esistente.
Nelle produzioni del Terzo Millennio, quest’ effetto placebo si è alquanto affievolito: la storia della ragazza di umili origini che si innamora di un uomo di elevato livello sociale è, spesso, affiancata da argomenti di attualità che rendono la storia più realistica e coinvolgente per il telespettatore.
Se la narrazione, prima, era vista come una storiella per casalinghe ignoranti, oggi, invece, le telenovelas presentano una maggiore qualità sia nei dialoghi (prima popolari, approssimativi, poveri e banali) sia negli studi delle ambientazioni, molto più realistiche rispetto al passato, anche grazie a budget molto più importanti dei precedenti.
Come detto prima il mercato delle telenovelas è in declino, soprattutto a causa dell’ avvento dei reality-show; tuttavia l’ importanza sociale delle telenovelas è ancora viva  nel mondo, in milioni e milioni di telespettatori.

Death



Non uccidere! Così recita il quinto comandamento, inciso col fuoco divino dallo stesso Creatore sulle tavole della legge consegnate a Mosè e all’ umanità intera.
Fin dalla notte dei tempi, infatti, l’ uomo ha sempre sentito il bisogno di riparare ad un’ ingiustizia ricevuta con una pena pari al torto subito.
Tale esigenza, in principio soddisfatta in modo soggettivo ed arbitrario, con l’ istituzione della società e delle autorità politiche, si lega alle regole che gli uomini si danno.
La legge del taglione è il più antico principio giuridico mai codificato e consiste nella possibilità riconosciuta a una persona che abbia ricevuto un' offesa di infliggere all'offensore una pena uguale all'offesa ricevuta. La locuzione occhio per occhio, dente per dente, quindi,  implica che la pena per l’ omicidio è la morte.
In estrema sintesi, si può quindi affermare che, sin dall’antichità, la pena capitale sia stata perlopiù considerata un mezzo idoneo a tutelare l’ordine: l’ uomo ha sempre considerato necessario punire la morte con la morte.
La stessa Chiesa Cattolica, nel corso dei secoli, ne ha fatto ampio uso assumendo la figura del giudice sposando pratiche a dir poco abominevoli quali le torture e le esecuzioni nel periodo della Santa Inquisizione.
Il XX secolo si è aratterizzato per un riscorso massiccio e feroce alla pena di morte, sia per l’affermarsi in Europa dei regimi totalitari sia per lo scoppio dei due conflitti mondiali. Ma è proprio nel secolo finale del 2° millennio che le spinte abolizioniste, sull’ onda lunga del movimento illuminista del secolo precedente, guidato da Cesare Beccarla (celebre è il suo trattato Dei Delitti e delle Pene), hanno fatto un grande passo avanti verso una moratoria internazionale sulle esecuzioni in tutti i paesi che ancora applicano la pena di morte, sostenuta dai principali organi internazionali come la Commissione sui diritti umani dell'Onu. Nel 2007, nel 2008 e nel 2010, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione che chiede una moratoria sulle esecuzioni: tali risoluzioni, sebbene non vincolanti, portano con sé un considerevole peso politico e morale e costituiscono uno strumento efficace nel persuadere i paesi ad abbandonare l'uso della pena di morte.
Notevole peso  ha sull’ opinione pubblica, l’ inumanità delle condizioni  cui vanno incontro i detenuti condannati alla pena di morte e in attesa di esecuzione: nella speciale sezione dei penitenziari, chiamata Death Row, braccio della morte, i reclusi molto spesso sono condannati ad una  “pena nella pena”. Per interi decenni, infatti, in attesa dell’ esecuzione, sono tenuti in uno stato di non-esistenza. Morti che camminano in attesa di lasciare questo mondo crudele che li ha resi crudeli, sopportando un’ attesa crudele, dove ogni giorno è, forse, l’ ultimo giorno. Il braccio della morte è senza dubbio un mondo a parte, una battaglia mentale: le ore trascorse con gli occhi fissi nel vuoto, l'agitazione e l'umiliazione dei giorni che diventano lastre di ghiaccio, immutabili.
Ma se la deterrenza è l'argomentazione più usata dai sostenitori della pena di morte, essa deve essere necessariamente accompagnata dal supplizio dell’ attesa? E la condanna capitale di un trasgressore dissuaderebbe realmente altre persone dal commettere lo stesso reato? Nei Paesi che mantengono la pena di morte ci si dovrebbe aspettare una diminuzione dei reati che hanno come condanna tale pena. Invece questo non accade.
La Bibbia recita: “il Signore pose su Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l'avesse incontrato”. Dovremmo riflettere meglio, come umanità, su cosa è giusto fare per il miglioramento della nostra civiltà,  chiederci se davvero abbiamo il diritto di sentirci senza peccato e scagliare la prima pietra contro un nostro fratello.