La televisione, sin dalle sue origini, seguendo le orme del cinema, da cui deriva, ha prodotto un macrogenere del programma televisivo contraddistinto da opere di narrazione e finzione scenica con finalità l’ intrattenimento: la fiction.
Questa ha le sue radici nel teleromanzo che, spesso, consisteva nell’ adattamento per la televisione di un’ opera classica della letteratura (I promessi sposi, La freccia nera, L’ Amleto, I miserabili…) ma anche in opere originali, create appositamente per il teleschermo.
Negli anni ottanta lil teleromanzo, oramai in declino, fu sostituito dal formato della fiction, un prodotto in grado di racchiudere in sé tutti i format della narrazione televisiva.
In Italia il termine è spesso usato per indicare la seria televisiva di produzione nostrana che prevede episodi della durata di sessanta minuti circa e la presenza di una trama verticale (narrazione episodica) e di una trama orizzontale (narrazione seriale). La nostra fiction è strutturata, di solito, in stagioni che vanno dai 15 ai 60 episodi, anche se non meno successo hanno avuto formati composti da un numero molto più limitato di puntate, in cui vi è la completa assenza della trama verticale, ma vi è unità narrativa dalla prima all’ ultima puntata.
Il serial debole (quello appena descritto) è contrapposto al serial forte che, a seconda che abbia o no una chiusura narrativa, viene distinto in telenovela o soap opera. In ambedue i casi la durata del racconto è lunga, spesso lunghissima:la fine della puntata, dunque, non è anche la fine della narrazione. Lo scopo principale è,ovviamente, quello di tenere desta l’ attenzione dei telespettatori con colpi di scena, capovolgimenti, imprevisti, indizi premonitori e soprattutto attraverso l’ uso dell’ effetto cliff-hanger, l’ interruzione sistematica nel punto culminante della puntata, quando l’ attenzione dei telespettatori diventa spasmodica.
Mentre la soap opera, però, può avere anche una durata decennale, la telenovela, che ha un budget, molto più limitato, ha un numero di puntate che di solito si aggira, in media, tra le 120 e le 200 puntate. La telenovela, nata in Brasile, come adattamento per la televisione della narrativa seriale dell’ ‘800, è basata su amori contrastati, fughe, tradimenti, agguati, figli illegittimi, faide familiari e figure femminili di grande spessore.
La psicologia dei protagonisti si innesta in una visione dell’ Universo manichei sta, dove la distinzione tra buoni e cattivi è netta e l’ eroe (più spesso l’ eroina) è sempre redentore o martire, convivendo con la sofferenza e gli ostacoli che la vita gli pone davanti continuamente, in attesa di un lieto fine che obbligatoriamente vedrà la distribuzione di premi ai buoni, suoi alleati, e di condanne ai cattivi, suoi avversari.
Per i Paesi produttori (Brasile, Messico, Argentina e Venezuela su tutti) la telenovela è una grande risorsa di esportazione, diventando un fenomeno commerciale, mediatico e di costume di livello planetario. Essa riveste un importante ruolo sociologico: il lieto fine ha un effetto consolatorio che compensa, in qualche modo, le disperazioni dei telespettatori nella vita reale, e trasmette loro positività nell’ esistente.
Nelle produzioni del Terzo Millennio, quest’ effetto placebo si è alquanto affievolito: la storia della ragazza di umili origini che si innamora di un uomo di elevato livello sociale è, spesso, affiancata da argomenti di attualità che rendono la storia più realistica e coinvolgente per il telespettatore.
Se la narrazione, prima, era vista come una storiella per casalinghe ignoranti, oggi, invece, le telenovelas presentano una maggiore qualità sia nei dialoghi (prima popolari, approssimativi, poveri e banali) sia negli studi delle ambientazioni, molto più realistiche rispetto al passato, anche grazie a budget molto più importanti dei precedenti.
Come detto prima il mercato delle telenovelas è in declino, soprattutto a causa dell’ avvento dei reality-show; tuttavia l’ importanza sociale delle telenovelas è ancora viva nel mondo, in milioni e milioni di telespettatori.