venerdì 23 dicembre 2011

Al di là del mare....

Vedo il sole splendere forte, alto nel cielo, e la luce dei suoi raggi si riflettersi sul pelo dell’ acqua, tanto da accecare la vista di quelle piccole figure accatastate l’ una sull’ altra. La piccola barca, di un arancione ormai invecchiato, sporca, arrugginita e ormai consunta, viaggia ad una velocità che nessuno, guardandola, avrebbe potuto attribuirle. Samir, oramai al timone da più di diciotto ore, la sta spingendo al massimo. E’ molto stanco, ma anche piacevolmente impressionato dalla bellezza del paesaggio marino. Ogni tanto scorge, addirittura, delfini dal dorso grigio giocare festosamente nella scia della barca.
La prua si infrange contro le onde, trasformando l’ azzurra acqua del mare in una densa schiuma, facendo borbottare a fatica il motore diesel da  duecentocinquanta cavalli, un rumore che a orecchi più esperti sarebbe suonato preoccupante.
Samir, invece, esperto non lo è affatto,  ha accettato quel lavoro solo per i 2.500 euro promessigli  quando si era recato al mercato della sua città, Abusalim, un piccolo sobborgo vicino  Tripoli, in Libia.
Gli si erano avvicinati in modo discreto, ma dovevano conoscere molto bene le sue abitudini, visto che erano entrati nel caffè al centro del mercato, dove era solito fermarsi  a gustare il succo di datteri da lui tanto amato. Un caffè di quelli che non consiglieresti a nessuno: sgangherato, senza insegna,  dove, se non fossi stato conosciuto dagli avventori  rischiavi di essere derubato senza neppure accorgertene. Il pavimento era lercio e un unico ventilatore cercava di sanare l’ aria asfissiante e carica di cattivi odori.
“Erano bianchi, europei di sicuro” continua a borbottare Samir, mentre spinge la barca in quella folle corsa.
“Ti diamo 1000 euro ora e 1500 quando arrivi” gli dicono.
Senza presentarsi e facendo ben intendere che non avrebbero dato nessuna spiegazione ulteriore a quella che gli  stavano per dare, dissero: “Dobbiamo portare un carico dall’ altro lato del mare e ci serve un uomo che non ha nulla da perdere! Sappiamo bene che non hai nessun affetto a questo mondo! E sappiamo bene che la Libia non è più la terra in cui vuoi vivere!!!”. Samir  aveva capito di che “carico” si trattava e  cosa intendevano i due uomini  con “dall’ altro lato del mare”.  Accettò subito: era stanco di vivere nel terrore di una guerra civile che non sentiva sua – “Se cade questo Rais,  di sicuro ne arriverà un altro!” si diceva.- Trasportare un gruppo di sconosciuti per assicurarsi un futuro migliore, in Europa, non lo disgustava così tanto. Ai due loschi figuri, vestiti  semplicemente in mimetica, sembrava non importare poi tanto il fatto che non avesse mai usato una barca: il sistema GPS avrebbe fatto da guida e lui avrebbe solo dovuto spingere i motori al massimo.
Gli fu detto di farsi trovare, la settimana successiva, sulla spiaggia municipale alle quattro del mattino. Non ci sarebbero stati controlli di nessun genere, poiché le forze armate erano troppo impegnate a contenere i ribelli per le vie della città.
La settimana di attesa fu vissuta dal ragazzo come tutte le altre settimane della sua giovane vita: giocando a carte con gli amici, pregando quando era dovere farlo, mettendo in ordine le poche cose che possedeva nella povera capanna, lasciatagli dagli zii in fuga dalla Rivoluzione.
Samir, ansioso di scappare dalla sua terra, martoriata da una guerra civile che forse nessuno aveva voluto, la mattina dell’ appuntamento, alle 3:00, già era seduto sulla riva del mare.
Il cielo era scuro. Il mare era nero, sembrava fatto di quel petrolio che, nei sospetti del giovane, aveva fatto scoppiare l’ insensata rivolta. Il rumore minaccioso delle onde non lo impensieriva, perché il suo unico desiderio era fuggire e, magari se ce l’ avesse fatta, avere una possibilità di vita, in un luogo migliore.
Da lontano, di tanto in tanto, Samir udiva il rumore delle esplosioni… se si fosse voltato.. avrebbe visto la città illuminata come fosse giorno. Ma non aveva nessuna intenzione di voltarsi: conosceva già quel triste spettacolo di fuochi assassini!!!

Quella visione mostruosa fatta di morte, speranza e sangue aveva ingannato anche me, attento scrittore.
Ora viaggio tra immaginazione e realtà… contagiato, ho descritto le scene dell’  incubo risolutore del povero Samir.
Guardo fisso la legna che arde nel camino e tra le braci, lontano, vedo una sagoma umana. Poi il nulla.
“Meglio affrontare la morte, che distribuire morte” mi disse.
Il suo  corpo, tra esplosioni, colpi di mitra e urla, giace, oramai senza vita, ai margini della strada.


venerdì 30 settembre 2011

Ritmo Nictemerale

Il ritmo nictemerale è il ritmo che permette all’ essere umano e a tutti gli altri esseri viventi di regolare l’ alternanza delle funzioni biologiche durante l’ arco delle 24 ore, in particolare la regolazione del sonno e della veglia.
 Questa specie di orologio interno è un ritmo tarato sulla durata del giorno terrestre e sulle nostre abitudini come specie nel rapporto notte =buio = sonno,  giorno = luce = veglia.
Molti di noi dormono per circa 8 ore, il che significa che passiamo circa un terzo della nostra vita dormendo, in parte sognando. Se cerchiamo di evitare di dormire per impiegare questo tempo prezioso in altre attività, quali tirar tardi a una festa o passare la notte sui libri per preparare un esame, il nostro corpo e il nostro cervello subito ci ammoniscono che non dovremmo. Possiamo farcela per un po’ ma non troppo a lungo. Il ciclo sonno/veglia è una delle tante attività ritmiche del corpo e del cervello ed è un ritmo endogeno che diviene gradualmente parte del ritmo nictemerale nei primi anni di vita ed importante in tutto l’arco della vita. Questo ritmo è nella natura e nell’istinto e, quindi, tende a persistere anche in assenza dello stimolo esterno dell’alternanza di giorno e notte: ad esempio nei paesi scandinavi si va a dormire anche nella stagione estiva in cui non c’è mai una vera e propria notte fonda.
E’ dimostrato, però, che il ritmo nictemerale non è rigido ed è in qualche modo “modificabile”: le funzioni biologiche giornaliere, lo stesso metabolismo, star svegli o dormire sono quindi abitudini consolidate dall’ uomo durate i milioni di anni della sua evoluzione e che vengono “assorbite”, sempre per abitudine, nei primi mesi di vita dell’ essere umano. Il bambino appena nato, infatti, può essere del tutto indifferente al ritmo di giorno e notte ed avere un suo ritmo personale, magari commisurato sulle 3 o 4 ore piuttosto che sulle 24! Il neonato regola i suoi cicli vitali sul ritmo della sua fame, ignorando del tutto quello del giorno e della notte.
Altra prova che il ritmo nictemerale umano è dettato da una questione convenzionale è il jet-lag, in cui la rilevante differenza di orario tra il luogo di partenza e quello di arrivo in un lungo viaggio aereo mette a dura prova, anche in un adulto sano, il ritmo stesso. O la vita degli abitanti del deserto, i Tuaregh, che viaggiano di notte e vivono di giorno. O la vita di tanti lavoratori notturni, dai metronotte ai giornalai, dai gestori di discoteche ai fornai, che hanno in qualche modo “ modificato” il loro ritmo vitale ( c’ è chi può riuscire dormire anche solo 4 ore a notte) in funzione del proprio stile di vita.
Forse, però, nel caso dell’ uomo Occidentale, dovremmo soprattutto chiederci che ruolo gioca la luce artificiale: ha consolidato le nostre abitudini di sonno/veglia o ci ha aiutato a modificare il nostro ritmo nictemerale?



giovedì 29 settembre 2011

VIlla San Limato

Nel periodo che segna la fine della Repubblica e l’ inizio dell’ età imperiale di Roma, sorgono su tutte le coste campane, le villae maritimae un tipo di abitazione dedicata principalmente al diletto e all’ otium nei mesi estivi. E’ soprattutto il litorale domitio a costellarsi di ville per la presenza di sorgenti naturali di acque termali. L’ amoenitas del territorio dice Strabone, diventa anzi il requisito fondamentale di queste ville.
L’ originario nucleo di queste ville, costituito da atrio e tablino, si dilata con la costruzione, in tempi successivi, di nuovi ambienti, decorati sfarzosamente di statue, mosaici e pitture parietali.
Splendida tra tutte, è la Villa Limatola, costruita all’ inizio dell’ età imperiale, tra il  Comune di Mondragone e quello di Cellole.
Essa mostra le citate discontinuità architettoniche: le strutture superstiti sono incorporate, oggi, in masseria settecentesca mentre la maggior parte degli ambienti visibili, il frigidarium ( e lo splendido mosaico, con rappresentazione di animali divini, che lo ricopre), il calidarium ed il tiepidarium, costruiti in reticolati e mattoni e coperti da volte a botte. Su di loro poggiano gli ambienti residenziali.
L’ esame delle strutture a noi arrivate, evidenziano due fasi costruttive: l’ impianto originario è del I secolo, mentre la fase di ristrutturazione e d’ ampiamento si data alla fine del II secolo.
La tecnica di costruzione della villa in San Limato è di modello: la planimetria risponde alle esigenze non solo di piacere e ozio, ma anche a quelle di relazioni sociali, politiche, religiose. La disposizione dei nuclei edilizi non è casuale ma risponde alle leggi del miglior modo di fruizione del passaggio: la casa signorile è sempre meglio esposta al panorama, l’ asimmetria delle superfici non è dovuta alla mancanza di spazio ma bensì ad un’ innovazione tecnica che mette in risalto i profili curvi di absidi ed esedri aperti verso il mare.

La lussuosa residenza romana, attribuita a Gaio Ofonio Tigellino, , oggetto di riqualificazione nel 2008, è  purtroppo oggi presa di mira dai vandali.


Probabilmente il feroce funzionario dell’imperatore romano Nerone non avrebbe mai immaginato che, a distanza di secoli, gli abitanti nativi di quei luoghi così stupendi da essere vanto dell’ Impero, potessero guadagnarsi, al pari dell'antico Imperatore romano, la fama di distruttori.

mercoledì 28 settembre 2011

MUSEO CIVICO ARCHEOLOGICO “BIAGIO GRECO”

Il museo civico “Biagio Greco” di Mondragone, sito al civico numero 2 di via Genova,  è inaugurato nell’ ottobre del 2000, quando l’ allora sindaco Ugo Alfredo Conte apre il primo percorso museale, articolato su tre sale espositive, all’interno di uno stabile che ospita anche la Biblioteca Comunale.
Oggi il museo civico di Mondragone è un’ istituzione permanente senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo e, grazie alla guida illuminata del suo Direttore, il Dott.  Crimaco, e alla competenza e all’ abnegazione del suo staff archeologico, è diventato il baricentro culturale di tutta la Riviera Domitia.
Il sito è stato riconosciuto museo ad interesse regionale e rappresenta un' importante fonte per la comunità e per i giovani, per la conoscenza della storia del proprio territorio ed è uno strumento indispensabile per la valorizzazione turistica e culturale del territorio stesso.
I reperti storici rinvenuti, a seguito di due campagne di scavo archeologico finanziate a partire dal 2001 dal Comune di Mondragone, una sita in Grotta San Sebastiano di carattere preistorico e l’ altra sul sito medioevale della Rocca Montis Draconis, sono allestiti ed esposti in quattro sale.  I materiali sono molti e variegati: oggetti funebri, vasellame, monili, medagliere con 200 monete circa, corredi, lame e bulini, tutto ciò ad indicare la ricchezza, conservata in secoli di storia, della città marittima. In particolare, da ammirare l’esemplare unico della statua di Apollo Musagete del II secolo.
L’ importanza storica di questi reperti è immensa: Mondragone recupera un passato millenario, dimenticato e sconosciuto. La storia del territorio non è più solo Ager Sinuessano, legato al periodo tardo-repubblicano di Roma, ma affonda le sue radici nella notte dei tempi e racconta la storia di un popolo indigeno fiero e potente.
Oggi il museo “Biagio Greco”, che deve il suo nome dallo studioso locale che tra i primi ha propugnato, negli anni ’20, la necessità di tutelare e promuovere il ricchissimo patrimonio archeologico locale, ospita: una sala dedicata alla preistoria, al periodo Aurignazio e ai primi gruppi etnici che abitarono la zona;  una sala dove sono  esposti reperti d’età protostorica e arcaica appartenenti alla popolazione Ausone e, a sinistra dello stesso piano, materiali del periodo romano legati alla storia di Sinuessa e dell’agro Falerno; infine le due sale poste al secondo piano ospitano quanto rinvenuto durante gli scavi e le ricognizioni del villaggio medievale di Montis Dragonis.

Il Museo Civico Archeologico “Biagio Greco” è un  emozionante viaggio indietro nel tempo, che ci fa Assaporare la vita di un territorio ancora da scoprire.

venerdì 23 settembre 2011

S. MARIA DEL GIGLIO

La chiesetta come un piccolo e prezioso gioiello attira subito l’ attenzione del passante, anche il più distratto . A pochissima distanza da piazza Umberto, là dove il corso si interseca con via Genova, c’ è la piccola, deliziosa ed accogliente chiesetta di Santa Maria del Giglio, quasi a guardia dell’ antica ed oramai impalpabile, omonima porta che consentiva il collegamento tra la cittadella rinascimentale e l’ antico borgo di Sant’ Angelo.
Il nome è dovuto alla grandissima quantità di gigli presenti nella zona nel passato: anche l’ attuale corso Umberto I, tutt’ oggi, è ricordato come “ la profumatissima via dei gigli”.
Edificata nel XVII secolo,  ha pianta rettangolare a navata unica, con due ingressi: uno in via Genova, l’ altro, oggi murato per esigenze di viabilità, sul corso Umberto.
La chiesetta, posta proprio di fronte al Museo Civico di Mondragone (diretto dal Dott. Luigi Crimaco), è letteralmente eclissata dai molto più imponenti edifici circostanti. Non tutti sanno, però, che al suo interno sono racchiuse opere d’ arte di notevole interesse.
Il prezioso affresco raffigurante la Vergine in preghiera col giglio tra le mani ad esempio: l’ opera è del pittore aversano Paolo Martorano. Offuscata dal tempo, risale agli anni ’30 del XX secolo ma è venuta alla luce solo nel 1982.
Sulla parete di fondo, invece, una nicchia soprastante l’ altare protegge una preziosa statua dell’ addolorata con vesti in tessuto nero e decorate con oro zecchino. La scultura risale agli anni ’50: all’ epoca, nella zona del presbiterio, esistevano stalli in legno per i componenti della confraternita di S.Maria del Giglio, approvata addirittura nel 1778 da re Ferdinando di borbone e avente come emblema tre rose.
La facciata della chiesetta è molto semplice: un piccolo ingresso, sormontato da una bifora e poi da un timpano triangolare.
Il piccolo campanile, anch’ esso a pianta quadrangolare, con una copertura piramidale rivestita di maioliche policrome, si innalza alle spalle dell’ edificio, su residui di mura rinascimentali.
Nonostante la sua disarmante semplicità esteriore, la Chiesetta del Giglio è di sicuro uno degli edifici “più spirituali” di Mondragone poiché spontaneamente invita al raccoglimento e alla riflessione interiore.
 Riesce a conservare intatta tutta la bellezza delle sue origini: nel periodo pasquale, infatti, la chiesetta accoglie la scultura del “Cristo Morto” e il gruppo scultorio delle “Tre Marie”, provenienti ambedue da altre chiese mondragonesi. Suggestive e commoventi processioni, di giovani ed anziani (soprattutto pescatori), accompagnano ancora oggi queste sculture nella loro temporanea dimora del Giglio. 

IL PALAZZO DUCALE

Il Palazzo Ducale si erge maestoso ed elegante alla confluenza di quelle che oggi sono Corso umberto I, via Duca degli Abruzzi e via XI febbraio, a poca distanza dalla chiesa di Sant’ Angelo e dal borgo omonimo che costituisce la porta antica di Mondragone.
Visibile ampiamente da lontano da tre lati, l’ ultimo verso la parte orientale ancora campagna, come la Reggia di Caserta.
Ed è proprio all’ opera più famosa del Vanvitelli che il Duca Domenico Grillo vuole ispirarsi per i lavori di ampliamento e ristrutturazione del già esistente “Palazzo Baronale”. Il nobile si rivolge persino allo stesso Vanvitelli ( in visita più volte nella città per la scelta del marmo da portare a Caserta), ma ottiene un netto rifiuto dall’ artista, in quanto già troppo impegnato dai lavori alla Reggia reale.
E’ possibile, però, che il Grillo riesce almeno in parte nel suo intento, ottenendo dal grande architetto un progetto che prevede l’ allargamento del portone d’ ingresso, la creazione di un secondo cortile e il rifacimento delle finestre.
Da quanto detto, è chiaro che la complessa struttura dell’ edificio non è un opera unitaria di una determinata epoca, bensì un susseguirsi di edifici, dal XIII al XIX secolo. Questa commistione costruttiva è ben visibile, sia per gli stili architettonici usati ( si passa dalle tipiche fortificazioni medioevali al tardo gotico catalano del XV secolo), sia per i materiali usati.
Il Palazzo ingloba, infatti, parte della murazione medioevale con la casa – torre, gli archi sulla sommità sorretti da beccatelli, le volte a crociera, gli archi a sesto acuto dei vari terranei, le monofore e le bifore. E, come abbiamo già accennato, la costruzione è ampliata, tra il XVIII e il XIX secolo, dai duca Grillo che estendono il già esistente Palazzo Baronale con un secondo cortile verso la parte orientale, ancora aperta campagna.
Alto 23 metri, su tre livelli, la struttura si estende per quasi 2800 metri e occupa una superficie complessiva di 5733 metri. La facciata principale presenta un basamento in mattoni (corrispondente al piano terra), su cui si erge il piano nobile, con alti finestroni con timpani curvi. Al centro insiste un portale in marmo locale che porta allo scalone, in posizione laterale ( similmente a quello della Reggia!), che porta agli appartamenti ducali e alle sale di rappresentanza. L’ androne d’ ingresso continua oltre la porta di chiusura, formando una galleria di passaggio per mezzi di trasporto e pedoni ( altra analogia con la Reggia vanvitelliana).
Altri ambienti degni di nota sono le due stanze a doppia altezza, quella che comunemente viene ritenuta la cappella del palazzo e il coronamento del vano scala all’ angolo sud- est.
Oggi giorno il Palazzo Ducale certamente non conserva più la bellezza che lo ha contraddistinto nel passato, con i suoi marmi, i suoi dipinti e stucchi pregiati. Esso, tuttavia, conserva ancora tutta la sua dignità e la sua fierezza: possiamo davvero dire che anche Mondragone ha la sua piccola, grande Reggia!

LA VENERE SINUESSANA

Una dea o donna bellissima esce dall’ acqua con passo leggiadro ed elegante, quasi regale: solo un velo ne copre il corpo nudo, morbido e sensuale. 
Più di duemila anni ci separano dalla scultura,  eppure l’ immagine marmorea è potentemente viva e ammaliante. Qual’ è il suo nome? Da dove viene? In quali acque rinfresca le candide membra? Chi l’ ha scolpita? Chi raffigura?
Queste e tante altre domande agitano la mente, mai paga di conoscenza e sempre avida di mistero, la quale, insoddisfatta delle risposte date, cerca per sé e da sé verità fantasiose davanti al simbolo più illustre della città di Mondragone.  Ritrovata acefala e senza braccia, un freddo gennaio di cento anni fa, in località Incaldana, dal sig. Leopoldo Schiappa, questa splendida scultura è la testimonianza più viva del lusso e dell’ agiatezza in cui gli abitanti di Sinuessa  vivono durante il periodo pre-imperiale.
Erroneamente attribuita, dall’ illustre professore Spinazzola, che per primo ne ricompose i pezzi mutili allo scultore greco del IV sec. a.C., Prassitele, essa adorna la villa di Marco Tullio Cicerone, che predilige Sinuessa per il clima mite e le trasparenza delle acque ed in particolare a Sinuessa stabilisce la tranquillità del suo ozio,  come fanno i più potenti personaggi della Roma tardorepubblicana.
La statua è unica nel suo genere: a differenza di molte altre Veneri, essa si ispira a concetti estetici in parte contrastanti con i canoni classici. L’ artista greco non conosce il dramma del pensiero filosofico, dimidiato tra reale ed ideale: con la mente contempla l’ immobile perfezione dell’ Idea e con lo scalpello crea nel marmo irreali armonie di linee e di forme che non conoscono la prepotenza delle passioni e la violenza della carne. Invece la Venere Sinuessana   emana il tepore della carne viva e sensuale: il marmo asseconda la pienezza della forma anatomica, vellutata di morbidezza adiposa che dappertutto la fascia con la delicatezza di tocco di un grande artista, degno di essere avvicinato a Prassitele e di esserne stimato l’ allievo prediletto.
Forse il creatore della Venere Sinuessana si colloca nel periodo storico di transizione tra il Classicismo e l’ Ellenismo che introduce nell’ arte inquietudine, dinamismo e realismo.