Nel breve arco di tempo di un ventennio i mezzi di informazione, e quindi la possibilità di comunicare, seguendo il progresso scientifico e tecnologico, si sono evoluti in mezzi con cui l’ utente interagisce e hanno cambiato le abitudini quotidiane di un numero sempre maggiore di persone.

La televisione ( e quindi la carta stampata, che ne viene fortemente influenzata) è l’ esempio lampante di come il concetto di “informare” sia radicalmente cambiato : i notiziari si fondono ai programmi di varietà o viceversa e la continua spettacolarizzazione delle notizie pone lo spettatore di fronte a continue “puntate” della stessa storia in quanto la priorità non è più quella di informare bensì quella di intrattenere il pubblico. In un simile contesto diventa sempre più indispensabile la figura dell’ opinionista, un professionista dell’ intrattenimento che, molto spesso, non ha nessun titolo o qualifica per esporre un’ analisi razionale in merito all’ argomento affrontato, che non offre mai dati certi ma esprime solo la propria opinione, influenzando quella del pubblico, creando un’ identificazione fittizia con lo spettatore e proponendosi come "voce della comunità" .

Questa “drammatizzazione della notizia” fa crollare definitivamente quel muro immaginario posto tra l’ informatore e l’ informato ,che si sente tirato dentro, coinvolto e quindi pronto a seguire tutte le “puntate” della notizia canale, per canale.
Il conduttore/giornalista non prende le distanze dal “fatto” che riporta, quindi lo spettatore (o il lettore di giornale), non si trova di fronte alla notizia “nuda e cruda” da verificare, approfondire e poi elaborare secondo la propria sensibilità, esperienza, cultura. Egli è, piuttosto, una mente passiva che assorbe la notizia già filtrata ed elaborata da altri.

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